Quando a un fan di 007 si chiede quali siano i cinque migliori film su James Bond, i titoli bene o male sono sempre quelli: Thunderball, Al servizio segreto di Sua Maestà, La spia che mi amava, GoldenEye, Casino Royale. Se si chiede quali sono i film preferiti la lista si scosterà poco: Goldfinger, Dalla Russia con amore, Skyfall sono altri titoli che si vedono spesso. Se a un fan di 007 si domanda qual è il film migliore di Moore, la risposta è senza esitazione La spia che mi amava. Se ci si interroga sul film di James Bond più rappresentativo degli anni Settanta, è probabile che la risposta sia la medesima. Se si parla delle bond girl più belle, di solito Barbara Bach è nell’elenco. Quali sono le auto più iconiche? C’è la Lotus. L’henchman migliore di 007? Squalo. Le location più belle? Sicuramente nell’elenco saranno presenti Egitto e Sardegna. Gira e rigira, La spia che mi amava, terza pellicola di Roger Moore come James Bond, è sempre nella top five in ogni categoria. Perché?

Parte 1: Il contesto

Uno sguardo dall’alto 

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Anche Sean guarda la saga dall’alto.

Osserviamo dall’alto la saga di 007, analizzando brevemente fasti e conquiste della saga cinematografica nata a partire dai romanzi di Ian Fleming. Il primo mitico capitolo, Licenza di uccidere, esce nel 1962 e ha un buon successo. Da lì la produzione si impegna sempre di più sino a raggiungere un picco con Thunderball, quarta pellicola con Sean Connery protagonista, nel 1965. Ad oggi, è la pellicola col maggiore incasso della saga, tenendo conto dell’inflazione. Dopodiché, per un motivo o per l’altro, la qualità cala leggermente. Al servizio segreto di Sua Maestà del 1969 è un gran bel film, forse il migliore della saga, non fosse per il protagonista, l’australiano e inesperto George Lazenby, che fa calare drasticamente l’asticella. È il momento di una rinfrescata: fatta eccezione per (l’infelice) Una cascata di diamanti, tocca a Roger Moore prendere il posto di 007.

Due pellicole di assestamento (e comunque buona qualità) e Cubby Broccoli ci sforna una capitolo che, allora, era quasi sicuramente il migliore mai prodotto. Siamo nel 1977, ci sono state diverse rivoluzioni interne alla produzione, ed esce La spia che mi amava, decimo episodio del franchise cinematografico. La pellicola ha tanto successo che il film successivo è praticamente un remake. Moore tiene bene ma comincia ad essere stanco: i capitoli successivi mantengono qualità ma sono scesi rispetto alla pellicola del 1977.

Nel 1987 serve un nuovo rinnovamento e si presenta al mondo Timothy Dalton. Ci prova, ma l’esito non è eccelso: le sue pellicole guadagnano bene ma meno delle precedenti, la critica è mista. Forse il mondo non era ancora pronto ad uno 007 cupo, che sarà meglio accettato quando avrà il volto di Daniel Craig. Ma prima tocca a Pierce Brosnan: dopo un lungo periodo di stallo creativo, produttivo e finanziario, nel 1995 la EON Productions torna più carica che mai con GoldenEye, piccolo gioiellino capace di dimostrare che James Bond non ha ancora finito. Brosnan se la cava egregiamente anche nei due capitoli successivi, anche se la qualità non eguaglia mai il suo primo successo. Lasciamo stare l’ultimo Brosnan, che è meglio così. 

Nuovo millennio, nuovo Bond: i tempi sono finalmente maturi per l’agente cupo per cui non c’era stata giustizia nei tardi Ottanta. Daniel Craig esordisce nel 2006 in Casino Royale e ci spiega come dovrebbe essere il Bond di Ian Fleming. Passa qualche anno e Barbara Broccoli ci sbatte in faccia Skyfall, per certi versi rivoluzionario, per altri classico, ma comunque un gran bel Bond movie. Già all’epoca incassa molto più di ogni altro film di 007, essendo il primo a guadagnare di fatto più di un miliardo di dollari. Craig in generale è il Bond più redditizio, se non si conta l’inflazione. 

Quel che ci riserva il futuro non lo sappiamo, ma vediamo molto bene che dopo Dalton i film di 007 tendono a sperimentare e rimescolare le carte in tavola lasciate dai precedenti contributi, più che reinventare sempre il personaggio. Segno di questo fatto è il continuo ripescaggio di omaggi e miti precedenti. Badare bene che non si tratta di mancanza di creatività, ma di sapiente utilizzo dell’eredità di James Bond e di ciò che rappresenta. Ma questo articolo serve per parlare di Roger Moore, quindi non perdiamoci.

Il picco della montagna 

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Salve, sono Roger e sarò la vostra guida turistica per questo tour del mondo di 007!

Ok, abbiamo visto che a partire da Licenza di uccidere nel 1962 i picchi sono stati: Thunderball nel 1965, La spia che mi amava nel 1977, GoldenEye nel 1995, Casino Royale nel 2006 e Skyfall nel 2012. Perché possiamo affermare che il film di Moore sia il picco della montagna?

Perché sta a metà strada. Perché si colloca a metà del percorso di identificazione di Bond: non è ancora troppo serio né troppo scanzonato. Perché è il decimo film della saga, quindi si trova anche numericamente a metà. Perché ci sono voluti venti anni per far uscire un film che lo eguagliasse o superasse come icona ed equilibrio. Perché è stato l’ultimo dei grandi successi collocato nell’età della sperimentazione (che si ferma con Dalton compreso), prima di quella della rielaborazione (da Brosnan in poi). Perché ancora oggi è probabilmente il più illustre esempio di cosa è stato 007 sotto Moore, che è il più longevo interprete come numero di pellicole, e di cosa è stato 007 negli anni Settanta, uno dei decenni più prolifici e sperimentali dell’agente segreto. 

Parte 2: La rivoluzione è iniziata

La storia

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Ian Fleming, l’autore che mi amava.

La spia che mi amava è rivoluzionario sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, è la prima pellicola che non attinge nulla, ma proprio nulla, da Ian Fleming, se non il titolo. L’autore, nel vendere i diritti di rappresentazione dei propri romanzi, aveva espressamente richiesto che di questo suo romanzo venisse mantenuto soltanto il titolo, ma non lo svolgimento, poiché il libro era molto sperimentale ma non era stato compreso dalla critica che lo aveva demolito. 

La storia del romanzo parlava di una donna incaricata di custodire un motel, la quale veniva incidentalmente salvata da Bond; ma il film come ben sappiamo parla di tutt’altro. Perciò la trama è tutta farina del sacco degli sceneggiatori, e quanti sceneggiatori! Furono consultati tantissimi autori per la realizzazione dello script. Inizialmente si voleva ripescare Ernst Stavro Blofeld come cattivo, ma problemi di diritti impedirono la cosa. Tra i vari autori consultati si annovera anche Anthony Burgess, scrittore del romanzo Arancia meccanica da cui era stato tratto il celebre film di Stanley Kubrick. Per approfondire riguardo alle diverse versioni preliminari della sceneggiatura vi consigliamo di leggere il nostro articolo dedicato. 

Tra le tante bozze scartate, la sceneggiatura finale è di Richard Maibaum e Christopher Wood, due personaggi di una certa rilevanza nella storia di 007 al cinema. Il primo è stato lo sceneggiatore di ben 13 pellicole della serie, da Licenza di uccidere del 1962 a Vendetta privata del 1989; fu un pioniere nel cinema ed è una delle menti che ha creato il mito di James Bond. Il secondo ha scritto le sceneggiature de La spia che mi amava e del successivo Moonraker, e persino i relativi adattamenti romanzati per il mercato  editoriale.

Una questione anche produttiva 

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Ken Adam (scenografo), Cubby Broccoli (produttore), Lewis Gilbert (regista): i tre moschettieri de La spia che mi amava.

Un altro motivo per ritenere la pellicola rivoluzionaria si trova nel contesto produttivo: il duo Broccoli e Saltzman aveva prodotto tutti i film ufficiali fino ad allora, ma intanto Harry Saltzman era entrato in crisi finanziaria a causa di alcuni investimenti sbagliati, che lo avevano portato a vendere la sua fetta di 50% di proprietà della EON Productions e della Danjaq LTD. Perciò la produzione era totalmente in mano ad Albert Broccoli, che da allora sarà l’unico a mettere mano alla saga, assistito e poi sostituito dalla figlia Barbara e dal figliastro Michael Wilson in tempi più recenti. Broccoli per questo film si prende un po’ più di tempo (tre anni dalla pellicola precedente) e raddoppia il budget (14 milioni contro i 7 spesi per i capitoli precedenti). Il rischio era alto, e Broccoli si è buttato in una scommessa che ha sicuramente vinto. 

Alla regia viene richiamato Lewis Gilbert, che aveva già diretto Si vive solo due volte nel 1967: un bel cambio di rotta tenendo conto che le ultime tre pellicole erano state affidate unicamente a Guy Hamilton, responsabile dell’introduzione di una maggiore ironia nei capitoli diretti. Gilbert sa riportare equilibrio in quel pasticcio di idee confuse che affliggevano l’ultimo Connery e i primi due Moore: nessuno aveva ben chiaro chi e cosa dovesse essere James Bond nel post Connery. 

Chi è James Bond? (1)

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Lazenby chi, prego?

Al servizio segreto di Sua Maestà aveva costretto la produzione ad investire sui settori collaterali sapendo di non poter contare sulle doti di Lazenby, mentre i successivi avevano tentato di recuperare qualcosa da alcuni generi in voga ai tempi: Una cascata di diamanti (1971) recuperava lo stile degli sceneggiati televisivi statunitensi mandando Bond nella sfavillante Las Vegas, Vivi e lascia morire (1973) usava la blaxploitation per ingrandire il bacino di pubblico, L’uomo dalla pistola d’oro (1974) era estremamente sperimentale nel suo tentativo di ripescare ciò che di buono c’era nel capitolo precedente, tra omaggi a Orson Welles e auto volanti. Nel complesso la saga stagnava in un momento un po’ camp, con l’utilizzo consapevole e divertito di storie, situazioni e caratterizzazioni kitsch che alla lunga non funzionavano. La spia che mi amava sa riportare tutte queste tendenze nell’ovile conferendo maggior garbo all’insieme collettivo. Finalmente anche Moore trova un equilibrio tra parodia e ironia nel suo Bond, un compromesso che gli consente di districarsi dalla pesante eredità lasciata da Sean Connery, compito che a Lazenby non era riuscito. 

La perfezione nei piccoli dettagli

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Uno sketch dell’interno del Liparus disegnato da Ken Adam, e scusate se è poco.

Se La spia che mi amava ha stile è anche merito del ritorno di Ken Adam alle scenografie: l’interno della nave Liparus è celeberrimo, ed è merito del suo design geometrico ed accattivante se è così: uno dei contributi più grandi all’immagine di 007 è da sempre il design delle scenografie. Il film è il primo ad essere girato nel 007 Stage presso i Pinewood Studios di Londra, teatro di posa progettato da Adam stesso, per necessità di costruire le scenografie in luoghi attrezzati dove non fosse ogni volta necessario demolire tutto e ricominciare da capo. Per saperne di più sulla storia dei Pinewood e del 007 Stage, link al nostro articolo dedicato. 

Sembra inoltre che a organizzare l’illuminazione interna del set del Liparus sia stato Stanley Kubrick in persona, che aveva già lavorato con Ken Adam ne Il dottor Stranamore (1964) e Barry Lyndon (1975). Lo fece in amicizia, ma in cambio a sua figlia Vivien venne concesso il privilegio di disegnare la mascella in acciaio di Squalo. 

Musica, Maestro 

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Musica così non ne fanno più.

La produzione si impegna in ogni ambito per la realizzazione di un Bond al passo con i tempi: pur mantenendo i temi di John Barry, stavolta il compito di comporre la colonna sonora è affidato a Marvin Hamlisch, una leggenda che cammina. Egli è una delle uniche due persone al mondo ad aver conseguito un PEGOT, cioè (almeno) un Pulitzer, un Emmy, un Grammy, un Oscar e un Tony, ovvero i cinque maggiori premi negli ambiti rispettivamente giornalistico, televisivo, musicale, cinematografico e teatrale. Hamlisch riesce a comporre un tema, intitolato Bond 77, che incorporando qualche nota aggiorna la sigla originale di 007 alla musica disco in voga negli anni Settanta, regalandoci un magnifico commento musicale alla spettacolare scena iniziale. 

Alla scena iniziale fanno seguito i titoli, accompagnati da un brano intitolato Nobody does it better, composto sempre da Hamlisch ma cantato dalla voce di Carly Simon. Il brano è il primo della saga a portare un titolo differente da quello del film, anche se le parole “The spy who loved me” sono pronunciate nel testo della canzone. Probabilmente uno dei brani migliori dell’intera saga, con un stupendo assolo a pianoforte in apertura, è uno dei cinque brani candidati all’Oscar come miglior canzone insieme a Live and let die di Paul McCartney, For your eyes only di Sheena Easton, Skyfall di Adele e Writing’s on the wall di Sam Smith, con solo le ultime due premiate. 

A livello di colonna sonora, Hamlisch inserisce anche pezzi di musica classica e omaggi ad alcuni celebri temi musicali di altri film: ciò spiega i richiami al Dottor Zhivago (1965) nella scena di apertura e a Lawrence d’Arabia (1962) nella scena del deserto: entrambe le pellicole erano state dirette da David Lean e musicate da Maurice Jarre. Nata come uno scherzo, questa tendenza rimane anche nei film successivi con inserimenti di brani di musica classica e da Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e 2001: Odissea nello spazio (1968) in Moonraker (1979) e assonanze ai Beach Boys in Bersaglio mobile (1985). 

Parte 3: L’icona

I Cattivi

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Un abbraccio al mio amicone James.

Ma La spia che mi amava non è diventato un’icona solo per gli aspetti produttivi. Tanto lo fanno, ovviamente, gli elementi prettamente visivi e narrativi del film, che lo rendono uno 007 tipico, ma anche un modello classico per certi versi ineguagliabile, dettagli che ancora oggi ricordiamo come fondamentali nel mondo di James Bond. 

Il malefico piano del cattivo di turno consiste nel distruggere la civiltà odierna per crearne una nuova che viva sott’acqua. È un sogno abbastanza bizzarro, ma è all’ordine del giorno quando ci troviamo in uno 007 con Roger Moore: il classico riccone con ambizioni malvagie di dominio e sterminio che vuole governare un nuovo ordine di umanità. Se non altro ha una novità rispetto ai cattivi precedenti: Karl Stromberg non lo fa per i soldi, ma per una filosofia a cui crede veramente. Il villain con il volto di Curd Jürgens non sarà uno dei più carismatici della saga, ma era il primo a non venire né direttamente né indirettamente da Fleming e se la cava bene nel proprio contesto. Come ogni villain che si rispetti, anche lui porta la sua menomazione fisica: le mani palmate (forse mostrate meno del dovuto). 

La spia che mi amava ha anche il pregio di definire pienamente che cosa sia un henchman: già prima avevamo avuto qualche esperimento interessante, ma è Squalo, introdotto in questo film, a rappresentare in modo incontestabile chi è e cosa fa lo scagnozzo del cattivo in ogni pellicola di 007 o simili. Squalo è un omone gigantesco, che già solo per questo incute timore. È fortissimo e coraggioso, non si esime dal battersi con uno squalo vero, eppure si mostra estremamente rispettoso, cauto e fedele nei confronti del padrone di turno. Parla poco, il ché accresce la sua disumanità. E soprattutto, ha una menomazione che lo rende mostruoso: la mascella d’acciaio (da cui il suo nome originale, Jaws, che significa appunto mascella). È una caratteristica tanto semplice quanto memorabile, dato che si inserisce perfettamente nella caratterizzazione del cattivo con una resa davvero agghiacciante. Merito anche dell’azzeccato interprete Richard Kiel. 

I Buoni

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La spia che mi Amasova.

Ad aiutare James Bond nel fronteggiare questi due individui abbiamo Anya Amasova, il maggiore Tripla X del KGB. Una spia russa, come la voleva Broccoli, incaricata di collaborare con un agente dell’MI6. Così non sappiamo neanche chi effettivamente sia questa spia che amava l’altra, tra i due agenti segreti. Dunque due operativi di fazioni opposte che vengono incaricati di lavorare assieme per sventare i piani del cattivone di turno, non prima di qualche battibecco nel lavorare singolarmente. Già Fleming nella sua ricerca di alternative all’Unione Sovietica aveva inventato la Spectre, ma in questi anni Broccoli deve trovare un’alternativa alla Spectre stessa e si inventa i miliardari pazzi: siamo in piena distensione ed è giusto che UK e URSS collaborino, non combattano. 

La distensione si vede anche nei rapporti tra i due agenti segreti, che (manco a dirlo) intraprendono una storia d’amore. Lei è la bellissima Barbara Bach, rimasta nel cuore di tanti appassionati della saga; spesso tiene testa a Bond, ma più di una volta sembra non essere all’altezza del rivale: del resto le bond girl del tempo erano poco più che oggetti sessuali facili prede del fascino di James. La Amasova è l’unica che ogni tanto frega 007, ma non può ancora batterlo. Basti notare che il codice Tripla X fa riferimento a XXX, sigla dei film pornografici, per sminuire in qualche modo la sua credibilità. 

Se Tripla X è l’agente migliore del KGB del generale Gogol, 007 è il migliore dell’MI6 di M. M è il capo del servizio segreto londinese, e offre il solito bonario supporto a James Bond, andando a raggiungerlo fino alle piramidi. L’età camp di Bond fa sì che le sedi distaccate dell’MI6 compaiano in ogni luogo, compreso un antico tempio egizio.

Il Bond Cocktail

The 007 Lotus Esprit ‘Submarine Car’, used in the James Bond movie "The Spy Who Loved Me" is pictured in this handout photo.
Ah però! Ma va anche su strada?

Oltre che su M, Bond può contare su Q, il quartiermastro di Sua Maestà. Egli provvede personalmente a fornire a Bond un’autovettura per le sue scorribande e inseguimenti. Nello specifico, si tratta di una Lotus Esprit S1 apparentemente normale, non fosse che la si può riconvertire in un sommergibile denominato Wet Nellie (in riferimento alla Little Nellie di Si vive solo due volte, sempre di Lewis Gilbert). È ovviamente dotata di ogni gadget e arma subacquea possibile. Abbiamo già dedicato un articolo alle automobili più iconiche di 007, lo trovate qui. 

Una volta che hai l’auto, non puoi non coordinare gli inseguimenti: ce n’è uno spettacolare che coinvolge auto, moto ed un elicottero tra le strade, il cielo (e le acque) della Sardegna, dove si svolge buona parte della storia nella fiction filmica. Anche se pochi segmenti sono davvero stati girati nel nostro Paese, è bene ricordare che questa è la prima di tre pellicole successive con Bond in Italia. Per approfondire questo argomento, c’è un articolo apposta.

Un’altra spettacolare location del film è l’Egitto: come dimenticare la magia esotica di scene ambientate sulle sabbie egiziane, sul Nilo, o nelle rovine del tempio di Luxor, o ancora durante lo spettacolo di luci sulle piramidi di Giza? Da un lato è un facile pretesto per inserire le note di Lawrence d’Arabia, dall’altro, con una lettura più ispirata, si può dire che hanno scelto un contesto immortale e leggendario per associarlo ad un film destinati ad entrare nella leggenda. 

Chi è James Bond? (2)

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Moore, Roger Moore. Che tutto può tranne qualcosa contro quel finto fondale.

James Bond è leggenda. E lo è grazie a tutti questi aspetti: dal villain all’henchman, dalla bond girl alle location passando per un’autovettura sportiva e super accessoriata. Ma sa essere molto di più di un frivolo intrattenimento: in una scena ambientata a Il Cairo, l’agente Tripla X ci ricorda che Bond è vedovo, e non è una cosa da poco. Non molti film di 007 ci ricordano il dolore che James prova per il lutto e per i fatti attraverso cui è passato. Se è vero che il dialogo finisce lì, liquidato, c’è da riconoscere l’intenzione di scendere un tantino più nell’intimità dell’uomo, più che dell’agente James Bond. Il discorso del lutto serve inoltre per legare la di lui sorte con quella di Anya, il cui compagno è stato ucciso in missione a inizio film da Bond stesso (trama un po’ sottosviluppata, a dirla tutta). 

James Bond è avventura. Lo vediamo nello spettacolare salto mozzafiato di inizio film dove salta con gli sci in un burrone per poi paracadutarsi dopo alcuni concitati attimi, sostenuto dalla bandiera inglese. Ad interpretare lo stunt fu il professionista Rick Sylvester, e la scena è forse lo stunt più iconico mai realizzato per un film di 007. Il produttore Albert Broccoli ebbe a dire “Fu coraggioso e fu bellissimo. Fu la pura essenza di James Bond”. E non si può dargli torto. La scena è stata omaggiata dal villain Gustav Graves ne La morte può attendere e da James Bond nell’apertura delle Olimpiadi di Londra 2012, della quale abbiamo parlato nel nostro articolo dedicato.

James Bond è ironia. Il film si chiude con 007 e Tripla X in una capsula di salvataggio che si abbandonano alla passione. La capsula viene recuperata da una nave militare con a bordo le massime cariche delle due fazioni britannica e sovietica, che colgono James e Anya in fallo. Dopo che viene chiesto a Bond che stia facendo, la risposta è “Tengo alta la bandiera inglese”: cult istantaneo. Ironico notare come all’inizio del film sia la Union Jack a sostenere James Bond e alla fine sia lui a sostenere lei. Perché Bond è british, ma anche qualcosa di più.

James Bond è Roger Moore. Se il film funziona, è anche perché è lui ad interpretarlo. Classe, eleganza, humour e stile contraddistinguono da sempre il Bond british per eccellenza. Dire che “Roger Moore è il miglior Bond” sarebbe una tifoseria, ma sostenere che abbia dato un enorme contributo alla saga è un atto dovuto. Partito in modo fin troppo bizzarro, ha poi proseguito egregiamente conferendo equilibrio e una nuova linfa vitale al personaggio, soprattutto a partire da questo film. Nei successivi lo vedremo virare un po’, sfiorando l’assurdo in Moonraker e facendosi serio in Solo per i tuoi occhi, più stanco in Octopussy e Bersaglio mobile. Eppure saprà sempre conferire sicurezza e sprezzo del pericolo con le sue espressioni e battute sottili. 

Parte 4: L’eredità

Moore, Roger Moore

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Due miti immortali. Ché m’avete lasciato qui?

Roger Moore ha sempre avuto un forte legame con questo film: ha sempre affermato fosse il suo preferito di quelli da lui interpretati, e ha in qualche modo ripreso il ruolo nel 1999 con una campagna di promozione del turismo in Egitto. Ma anche James Bond è sempre rimasto legato a Roger Moore: se Dalton è stato anomalo, Pierce Brosnan è stato chiaramente un’evoluzione di Roger Moore come agente 007, nel tono, nell’ironia, nelle trame. 

Il seguito

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Mr. Hinx non ha capito bene quale sia il suo ruolo in Spectre. Sa però di essere un omaggio a Squalo di Richard Kiel.

Il film successivo a La spia che mi amava doveva essere Solo per i tuoi occhi, ma la moda esplosa per il primo capitolo di Guerre Stellari (1977) fece virare Broccoli verso un titolo diverso di Fleming, più spaziale, ovvero Moonraker. Il film non c’entra nulla con il romanzo originale, ma il titolo resta in qualche modo collegato con La spia che mi amava. Innanzitutto per lo stratagemma scelto da Bond per distruggere le testate nucleari di Stromberg: la trovata di inserire le coordinate scambiate viene proprio dal romanzo Moonraker. Inoltre, ben felici del calore con cui venne accolto il personaggio di Squalo, i produttori decisero di riportare Richard Kiel anche nel film successivo. Ma la stessa trama del film Moonraker, alla fin fine, è un remake de La spia che mi amava: un riccone suonato che vuole distruggere la civiltà umana per costruire un nuovo ordine mondiale in un terreno inesplorato: chi nelle profondità dell’oceano, chi in quelle spaziali. 

Un ulteriore segnale dell’apprezzamento di Squalo arriva dal fatto che il personaggio di Mr. Hinx, interpretato da Dave Bautista in Spectre (2015), ne è un chiaro omaggio. Si tratta di un omone silenzioso e inquietante, con unghie d’acciaio al posto della mascella, che si scontra fisicamente con Bond a bordo dell’Orient Express e dal quale viene scaraventato fuori in corsa. Questa loro vicinanza globale si inserisce nel contesto di omaggio a Lo squalo di Steven Spielberg (1975), e delle innumerevoli similitudini ne abbiamo già parlato qui.

Il film che anticipava il futuro 

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Cybertruck vs Lotus. Alla Tesla hanno finito le idee?

Anche la Lotus Esprit sommergibile è diventata un’icona simbolo di Bond. E pensare che il sommergibile originale fu dimenticato in un magazzino per anni, prima che i proprietari venissero a conoscenza del tesoro che avevano tra le mani. Dopodiché, la Wet Nellie è stata venduta al prezzo di 616.000 sterline nel settembre 2013 all’interno di un’asta di automobili bondiane; ad aggiudicarsi il cimelio è stato Elon Musk, il multimilionario patron della Tesla e di SpaceX, una specie di Hugo Drax aggiornato all’età contemporanea. Da sempre fan della saga di 007, ha dichiarato di aver acquistato l’iconico mezzo per trarne una vettura che sia per davvero capace di passare dalla strada all’acqua, e viceversa. Staremo a vedere se ci riuscirà. Intanto però, ha dichiarato che il design del Cybertruck, vettura futuristica della Tesla, è parzialmente ispirato proprio alla leggendaria Lotus di James Bond.

Parte 5: La nostra tesi 

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Cubby Broccoli, Roger Moore e Barbara Bach: il trio che mi amava.

Abbiamo ragionato sul valore che La spia che mi amava ha avuto nel contesto bondiano e non solo. Abbiamo visto come sia stato una leggenda, un’icona e un modello da raggiungere per tutti i film successivi, per una serie di aspetti classici e al contempo rivoluzionari. La qualità del film è indubbia, e tra tante pellicole è forse invecchiata anche meglio di altre, e questo perché dentro c’è la vera essenza di Bond che mai tramonterà finché ci saranno storie, personaggi e il fascino che Broccoli aveva già intuito a suo tempo. E finalmente rispondiamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio: perché La spia che mi amava è sempre annoverato in ogni singola top five sui film di 007?

Perché è un classico intramontabile. C’è azione, ironia, location esotiche, avventure, un buon cattivo con un henchman ancora migliore, una bond girl stupenda ad affiancare un James Bond superbo, e un altro cocktail di fattori tipici e determinanti al successo del mito di 007. 

È un film rivoluzionario, equilibrato, consapevole della propria scommessa e del proprio valore. Sa calibrare l’alchimia tra i personaggi e la messa in scena con l’aspetto produttivo. Ha una colonna sonora eccezionale con delle scenografie fenomenali, scene perfette e stunt ben eseguiti. E a dimostrarne il valore è anche il segno del tempo, tra omaggi ed eredità lasciate con il tempo. 

Non stiamo dicendo che si tratti assolutamente ed imprescindibilmente del miglior film di 007, ma sicuramente, tra tanti, è uno di quelli che ha maggiormente lasciato il segno. Nobody does it better.

Edoardo & Enrico Borghesio

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